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Parte I Cap3
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Canti e leggende

Usi e costumi di Ciminna

Dr Vito Graziano

Pubblicato MCMXXXV

Parte prima cap.3

Motti e proverbi

1. Motti e proverbi nati da confronti con oggetti e cose materiali2. Da similitudini con individui storici o leggende. - 3. Da leggende e aneddoti. - 4. Da usi e costumi locali. - 5. Paremiologia siciliana.
1. Ogni paese, anche piccolo, ha i suoi motti e i suoi proverbi locali, che hanno origine da un fatto storico, da una leggenda, o da qualche uso e costume antico.
La maggior parte di essi son nati dalla tendenza naturale del popolo a fare confronti con oggetti e cose materiali, e questa tendenza, secondo 1' esame fatto dal Pitrè, è maggiore in Sicilia che in altre regioni d' Italia. In Ciminna infatti per esprimere una grande estensione si dice : granni quantu ìu chiami di la Pircalora, che è un piano limitrofo al paese e di proprietà comunale, ora assai più piccolo per le usurpazioni dei privati ; per esprimere invece una grande altezza si dice : granni quanta lu Cozzu di Matritunnu o lu Vausu di lu Castidduzzu, che sono due monti del territorio di Ciminna.
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2. Altri motti e proverbi son nati per similitudine con individui storici o leggendari. Tali sono i seguenti : Fici coma fra Currau ca l' tempu lu gabbau. Esso fu terziario del convento di S. Francesco d Assisi e passò la vita nell' eremitaggio annesso alla chiesa di S. Vito. Si racconta di lui che, avendo molti denari, li donò all' Ospedale di Ciminna, e ritenendo per la sua vecchiaia che fosse vicino a morire, ne trattenne una piccola parte. Ma egli sopravvisse molto tempo e Perciò fu costretto a limosinare. Questo motto si applica a chi dona rotte le sue sostanze e poi rimane nella miseria.
il motto Papasuni carzaratu ebbe origine da un servente comule il quale visse nel secolo scorso e aveva questo soprannome. In tempo gli amministratori del Comune avevano, contrariamente a attuale, la responsabilità dei loro atti e quando commettevano delle colpe erano anche condotti in carcere. Ma accadeva, non di rado, che essi li addossavano al povero servente, il quale perciò ne pagava ingiustamente il fio ; da ciò 1' origine del motto per dire che gli stracci vanno sempre in aria.
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3. Vi sono poi motti e proverbi nati da leggende, aneddoti, etc. Megghiu radichi di Santalania ca viscotta di batia. Questo proverbio ebbe origine dalla seguente favola, che va per le bocche di tutti ed è molto simile, per non dire identica, a quella dei due topi narrata in versi da Gaspare Gozzi. C' era una volta un topo, che viveva nell' ex monastero di S. Benedetto e si nutriva abbondantemente di cacio, biscotti e altri cibi gustosi. Un giorno andò a passeggio sul vicino colle di Sant' Anania e si incontrò con un topo, che viveva miseramente di radicette e di erbe selvatiche. Avutone compassione, l'invitò a seguirlo nel detto monastero, dove era in abbondanza ogni sorta di cibo. Il topo di campagna, allettato da queste promesse, non si fece ripetere 1' invito e si mise tosto dietro alle sue orme. Arrivati ivi, entrò prima quello che conosceva i luoghi, e condusse il compagno nella stanza, ove erano conservati dolci e altri cibi saporiti. Dopo essersi satollati tranquillamente per parecchi giorni, lasciarono quel luogo per rivedere la campagna. Ma giunti alla porta di uscita, trovarono sulla soglia il gatto e fuggirono subito, ma esso, più lesto di loro, ghermì il topo del monastero eh' era più vicino e in men che si dica ne fece un bel boccone. Allora 1' altro topo fuggì e disse quel motto, il quale si ripete ogni volta che si presenta un negozio vantaggioso, ma pieno di pericoli. Iu diunu e tu a lu scuru è un altro motto nato dal seguente aneddoto. C' era una volta un eremita addetto alla chiesa di S. Vito e di lui si racconta che una sera ritornò nel suo eremitaggio senza aver raccolto nella giornata alcuna elemosina. Entrato nella chiesa si rivolse alla statua del santo, dicendole quelle parole.
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4. Alcuni motti e proverbi sono nati da usi e costumi locali. Tali sono per esempio i seguenti : Vuliti sapiri lu beni e lu mali ? iti a lu Fuddella e a lu Canali. In queste località, vicinissime al paese sono due lavatoi pubblici, ove si recano a lavare tutte le serve, le quali, sciorinando i segreti dei loro padroni e ingiuriandosi a vicenda, fanno sapere a chi ascolta il bene e il male.
Un altro motto infine, caduto ora in disuso è questo : Si 'nni iu cu I' opra santa, e si diceva per indicare le persone morte nella estromo della miseria. Esso nacque da un uso antico della confraternita detta la Solitudine, e comunemente il Sabato. Quando moriva un individuo povero, due confrati andavano questuando col coppo nel paese e dicendo a voce alta : opra santa! Col denaro raccolto si seppellivano i cadaveri dei poveri.
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5.Oltre a quelli suddetti, il popolo Ciminnese ha moltissimi proverbi che sono comuni ad altri paesi della Sicilia. Il libro dei proverbi di Salomone nella versione dei Settanta porta il titolo di paté-mie, che corrisponde assai bene a quello di proverbi, e la paremiologia è pertanto lo studio dei proverbi e forma un capitolo importante del folklore, perché giova molto allo studio psicologico degli abitanti di un paese o di una regione. Nel suddetto libro di Salomone sono riuniti gli insegnamenti e le massime per ogni genere di persone, vi sono le più sincere regole di morale, della sana e retta politica, e della buona economia 1.
I proverbi sono la sapienza del popolo acquistata col decorso di tanti secoli e di tante generazioni, il codice comune a cui attingono tutti e tutti uniformano la propria condotta. Il popolo crede ai proverbi, come a verità infallibili : lu muttu anticu nun pò falliri ed egli non s'inganna, perché i suoi proverbi trovano riscontro in quelli della sacra scrittura, nella sapienza umana e nei detti degli uomini illustri. Ogni regione ha i suoi proverbi e la Sicilia ne possiede la raccolta più abbondante che abbia qualunque altra letteratura, poiché il Pitrè nei suoi quattro volumi dei proverbi siciliani ne raccolse ben quattordicimila, che meglio di tutte le altre testimonianze rilevano l'indole del popolo.
(1) La Sacra Bibbia, tradotta da Mons. Antonio Martini, Firenze 1832, voi. II, P«g. 600.
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