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Parte II Cap1
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Canti e leggende

Usi e costumi di Ciminna

Dr Vito Graziano

Pubblicato MCMXXXV

Parte Seconda cap.1

La festa di S. Antonio abate.

 

 

1. Antica festa di S. Antonio

A poca distanza da Ciminna esiste una chiesa dedicata a S. Antonio abate. Essa ha un' origine antica, che non si può precisare per mancanza di documenti ; però esisteva con certezza nella prima metà del secolo XVI. E la più grande di tutte le chiese, che sono fuori l'abitato, ed è divisa in tre navate sulle cui pareti si vedono rozze pitture rappresentanti alcuni episodi della vita del santo, le quali, secondo la tradizione, furono eseguite da un latitante, quando le chiese erano asili impenetrabili alla giustizia. Ora le dette pitture sono in parte distrutte per lavori murarie fatti dopo.
Nella detta chiesa vi era la confraternita di S. Antonio e vi si celebrava ogni anno, a 17 gennaio, la festa di S. Antonio abate, e ciò da tempo antichissimo, come risulta da un documento del 1584, nel quale si legge che la detta festa si celebrava da tempo immemorabile. Essa merita di essere conosciuta per alcune usanze e leggende caratteristiche.
Nei tempi antichi era la festa principale del paese con molto concorso di forestieri, che affluivano dai paesi vicini e perfino da Palermo. Fra essi vi erano i preti albanesi del comune di Mezzoiuso, i quali officiavano nel loro rito ed erano alloggiati in alcune casette appartenenti alla chiesa, delle quali si vede ancora qualche avanzo. Una di queste, ancora esistente ali' estremità dello abitato, prese il nome di ospedale di S. Antonio, e quando, per la decadenza della festa, venne meno il concorso dei forestieri, la chiesa volle per molto tempo continuare la sua ospitalità, facendo 1' elemosina di un tari a ogni pellegrino che capitava nel paese.
Dai conti della festa, che rimontano al 1770, si rileva che anticamente essa era preceduta da un ottavario e dalla vigilia, vi eia suono di trombe e di tamburi con pifferi per la terra, sparo di mortaretti, apparato in chiesa, primo e secondo vespro, messa solenne in musica e processione del santo.
Nella vigilia, a mezzogiorno, vi era la masculiata, la quale distruggeva la malerva, specie di erba tanto nociva agli animali che fece nascere il seguente motto : un mazza di malerba ammazza centu cavaddi.
Nel giorno della festa il popolo accorreva numeroso alla chiesa di S. Antonio per ringraziare il santo delle grazie ricevute o per ottenere i suoi favori, e quando per le intemperie o per malattia qualcuno non poteva farlo, rivolgeva al santo la seguente invocazione :
S. Antoni, nun pozzu viniri
C'è la nivi e nun pozzu passati
Vui m' aviti a pirdunari
Si 'un vi vegnu a visitali
.
La funzione più solenne della festa era la processione. La bara del santo, tutta in legno e di mediocre fattura, è molto pesante e per portarla occorrevano tre castagnuoli e diciotto persone. Essa è formata da un piedistallo quadrangolare e da due gradini aiti cinquanta centi -metri. Sopra di esso poggia una gran sedia a bracciuoli, ornata di dragoni e serpenti 1, sulla quale è seduta la statua del santo più grande del naturale e in abito di abate con 1' aureola dietro la testa. Ha la faccia di color naturale e le mani nere, tiene la mano destra alzata in atto di benedire con le prime tre dita estese e le ultime due flesse e con la sinistra porta il bacolo o pastorale. Ai piedi del santo, sul piedistallo è poggiato a destra la mitra e a sinistra le fiamme e il porceliino nero. Dagli angoli del piedistallo s'innalzano quattro pilastri, formati ognuno da due colonnine tortili e al di sopra dei capitelli si intrecciano diagonalmente fra loro formando una specie di volta a cupola sopra la statua del santo. Al di sotto di detta cupola e ai lati dei detti pilastri vi sono quattro archi semicircolari. La bara misura l'altezza di m. 3,50, compreso il piedistallo, oltre il finimento della sommità.
La detta statua era portata in processione dentro il paese, attraversando un torrente sempre in piena al tempo della festa e una via di campagna. Negli anni in cui le piogge e le nevi erano più abbondanti del solito e quindi rendevano la via impraticabile, era condotta in processione un* altra statua del santo, che si conserva nella chiesa di S. Domenico ed è chiamata dal popolo S. Antoni lu nicu per distinguerla dall'altra detta S. Antoni lu granni.


(1) Due dei tanti animali sotto le quali forme apparve il demonio al santo anacoreta nel deserto.


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2. Macellazione delle vacche
La solennità della festa era accresciuta dalla macellazione di alcune vacche, la cui carne si distribuiva gratuitamente a tutti i cittadini e ai forestieri. Infatti nel 1579 i rettori della chiesa di S. Antonio ottennero dal viceré di Sicilia di poter macellare otto vacche di guasto1. Nel 1584 i suddetti rettori, visto l'aumento della devozione e dell' affluenza dei forestieri pei miracoli del santo, chiesero al viceré di quel tempo Marco Antonio Colonna di poterne macellare almeno venti, o più se ve ne fosse bisogno. Ma il viceré, con lettera del 9 gennaio, ne concesse solamente dodici. Nel 1629 1' affluenza dei forestieri era ancora tanta, che fu chiesto ed ottenuto di poterne macellare venti, e tale privilegio fu confermato il 15 gennaio 1640. Ma da qual tempo cominciò a diminuire il numero delle vacche macellate, finché nel 1845 si ridusse a tre e poco tempo dopo cessò del tutto2.
Le vacche erano comprate a spese della chiesa e talvolta offerte dai devoti del santo. A questo proposito si racconta e si crede dal popolo, che una volta i rettori della chiesa, essendo andati in una masseria a chiedere l'elemosina di un animale bovino, ebbero concesso un toro furioso a condizione che avessero potuto legarlo con fune. Allora essi, in nome del santo, si avvicinarono ai detto toro che divenne subito quieto e si fece legare facilmente. Le vacche erano custodite da un boaro o date a fida, e la vigilia della festa macellate. La carne era benedetta solennemente e dopo cominciava la distribuzione, nella quale vi erano dei privilegi. Infatti un quarto di vacca toccava al barone del paese e un altro ai preti, fra i quali erano anche i privilegiati, perché ali' arciprete spettava una testa di vacca, al cappellano notturno delia Madrice un'altra testa e una quartara di sangue, ed al sacrestano della chiesa li cosi di dintra. La distribuzione della carne al popolo si faceva in proporzione dell' elemosina fatta al santo, e in quel giorno era vietata ai macellai la vendita della carne. Per darle maggior fragranza la carne era ornata con rami di alloro e di arancio, e si racconta che una volta in mezzo ai detti rami fu dimenticato un quarto di vacca, che nell' anno seguente fu trovato per miracolo del santo sano e fresco.
(1) Le leggi in Sicilia infliggevano pene severissime a coloro che mandavano al macello i loro animali di specie bovina, onde per ìe provviste della carne si doveva spesso far venire il bestiame dall' Africa o da altro luogo. Leggi assurde, perché mentre riconoscevano 1'importanza dei detti animali per l agricoltura, facevano di tutto per farli mancare, impedendo il guadagno di coloro che ne producevano.
(2) La macellazione dei buoi per la festa di S. Antonio era una usanza di origine forse pagana. Infatti Gregorio Magno scriveva il 22 giugno del 601 a Lorenzo prete e a Melilo abate, che si recavano in Inghilterra : Si dice che gli uomini di questa Nazione usino sacrificare dei buoi. Bisogna che questa usanza sia da essi convertita in solennità cristiana, che essi li uccidano non più come offerta al diavolo, ma pei banchetti cristiani in nome ed onore di Dio, a cui, dopo di essersi satollati, renderanno grazie. Pitrè, Feste Patronali in Sicilia, Torino - Palermo, pag. I..X.

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3. Panuzzi e divuzioni di S. Antonio
Oltre la carne, si davano al popolo dei panini (panuzzi), che erano grandi quanto un soldo di pane di quel tempo e distiibuivansi alle confraternite, le quali intervenivano alla processione del santo, li frumento era comprato a spese della chiesa; ma, cessata la macellazione delle vacche, i detti panini furono sostituiti da altri più piccoli senza lievito, detti diluzioni e fatti di varie forme, fra le quali quelle di maiali o di fiamme. Si facevano pure molti pani di S. Antonio e si distribuivano ai poveri. Ogni sacrestano che suonava le campane aveva diritto ad un pane, ma a quello di S. Antonio spettava» anche un fiasco di vino, perché il giorno della festa, due ore prima di far giorno, sonava la palrinoslru, chiamato così perché al suono di quella campana ogni persona doveva recitare un paternostro al santo della chiesa.

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4. Leggende di S. Antonio
La distribuzione della carne e del pane fece nascere nel popolo una leggenda. S. Antonio era figlio di agiati e pii genitori, e sin dalla fanciullezza si esercitava negli atti di carità cristiana. Perciò aveva l'abitudine di nascondere parte della carne destinata ali' uso della famiglia, dividerla in fette e con un pezzo di pane darla ai poveri. Il padre si accorse del fatto e accusò i servi, ma questi erano innocenti e non tardarono a conoscerne 1' autore. Infatti una mattina di gennaio essi chiamarono la madre di Antonio, mentre questi portava ai poveri la solita elemosina. Ella domandò al figlio che cosa avesse nelle mani, ed egli rispose : rosi e sciuri, e così dicendo glieli mostrò. Allora la madre, meravigliata del fatto, disse al figlio : figghiu o si santu o si magaru, quannu rosi 'nta innaru ?
E da quel giorno in poi gli permise di fare quello che volesse. In segno di questa caritatevole abitudine del santo, si distribuivano carne e pane.
Anticamente si faceva nella festa lu triunfu di li busi, e nel 1768 furono pagati per compra di essi tari 5.
Un'altra usanza caratteristica della festa era la benedizione degli animali bovini, equini e ovini condotti dinanzi la chiesa, i quali erano benedetti da un prete in cotta e stola con 1' aspersorio d'acqua lustrale. Agli animali che non potevano andarvi per malattie o altre ragioni, si faceva mangiare un po' di fieno benedetto, e nelle loro stalle si metteva un'immagine del santo. Alcuni devoti piegavano la figura in otto o più parti, mettendola dentro un sacchettino cucito e appeso alla parte superiore della retina in forma di abitino, per difendere 1' animale da qualsiasi disgrazia. La facoltà di benedire gli animali, che S. Antonio ha comune con altri santi, gli venne da Dio concessa, secondo la credenza popolare, pel merito di avere sempre resistito al demonio, che gli apparve tante volte sotto forme di animali diversi.
L'esistenza delle fiamme sulla bara sopra descritta e il color nero delle mani del santo fecero nascere nella mente del popolino un' altra leggenda, la quale merita pure di essere raccontata.
I genitori di S. Antonio erano sterili e pregavano sempre il Sgnore per avere una prole, ma le loro preghiere rimasero per molto tempo inascoltate. Allora la madre, che n'era più desiderosa, si rivolse al demonio, il quale le promise un figlio maschio con la condizione che all' età di dodici anni glielo dovesse consegnare. La donna accettò il patto e da quel momento rimase incinta. Per questa ragione i coniugi sterili si raccomandano al detto santo e si racconta di uno, il quale lo pregò con Unto fervore che ottenne tre figli in un solo parto, e si dice pure che egli abbia esclamato: troppa grazia S. Antoni1.
Però il figlio, eh' era frutto di un patto col demonio fu da Dio destinato alla santità, e perciò cresceva con gii anni nella preghiera e nel timore di Dio. Ma arrivato ali' età stabilita fu dalla madre, suo malgrado, consegnato al demonio, che lo portò ali' inferno. Ivi per la sua santità il giovanetto non potè entrare e però fu messo a sedere dinanzi la porta, dalla quale uscivano ed entravano i demoni carichi di legna per alimentare il fuoco dell' inferno. Allora Antonio, fattosi portare da essi un bastone né diritto né torto, dava legnate a tutti i demoni, che decisero di riportarlo alla casa paterna, ma vollero che egli, prima di partire, toccasse con tre dita la porta dell' inferno. Ritornato a casa, Antonio vi rimase poco tempo e, conoscendo le gravi pene che si soffrono in quel luogo, abbandonò le ricchezze paterne e se ne andò nel deserto, dove visse sempre da anacoreta. Ivi i demoni per vendetta di quello che avevano sofferto, lo tormentarono in tanti modi, apparendogli in forma di animali diversi, che alle preghiere del santo fuggivano gettando fiamme dietro a loro. E tale credenza è nata dal fatto che il porcellino esistente sopra la bara ai piedi del santo è di color nero.
Ma il popolo, che ragiona con una logica sua propria, ha fatto di questo immondo animale, rappresentante il demonio, un protetto del santo, e l'invoca nelle malattie di esso per ottenerne la guarigione. Perciò alcuni lo chiamano il santo dei porci, e 'Ntoni porcu si dice per offesa a chi porta questo nome. Ma il santo se ne offende e li punisce con legnate date nel sonno, con una terribile malattia detta fuoco di S. Antonio (erpes zoster)2, e non li lascia in pace neppure dopo la morte, perché li punisce con le pene dell' inferno. Perciò è abitudine generale delle persone devote di aggiungere nelle preghiere un patrinostru a S. Antantoni per la liberazione dalle pene dall' inferno.
Ma la credenza del popolo non è verisimile, poiché se il porco rappresenta una delle tante metamorfosi animalesche dei demonio, non poteva il santo elevarsi a protettore di questo animale e farsene un compagno inseparabile, che io segue in attitudine umile e quasi affettuosa. Né poi è certo che il demonio sia apparso al santo in forma di porco, perché nelle Vite dei Santi Padri non troviamo alcuno accenno di cotesta diabolica metamorfosi3. Perché dunque S. Antonio è il protettore dei suini, e per estensione, anche dei cavalli, dei muli, degli asini e delle vacche ?
La spiegazione più attendibile data finora è riportata da Alessio Di Giovanni nel n. 1, anno IV del Bollettino del Provveditorato agli studi della Sicilia ed è la seguente.
In un paese del Delfinato in Francia c'era un convento di monaci chiamati Antoniani. Avvenne un giorno che le mandre di porci dei dintorni e anche quella del convento furono invase da un male strano e così violento che le povere bestie ne morivano a vista d' occhio, e sarebbero tutte perite se gli Antoniani non avessero trovato un rimedio meraviglioso. Per riconoscenza ai monaci i loro porci godettero di particolari immunità e per riconoscerli facilmente dagli altri portavano, come contrassegno, una campanella appesa ad un collare di cuoio. Da ciò venne l'uso, che si sparse poi dovunque, di ritrarre ai piedi del santo un porceliino col collare di cuoio e la relativa campanella, che i pittori in seguito, ignari del fatto, attaccarono ai pastorale.
S. Antonio è anche il protettore del fuoco, e si invoca anche nei casi d' incendio, perché egli vide e toccò con le dita il fuoco dello inferno.
La giornata in cui si celebrava la festa di S. Antonio soleva essere né buona né cattiva, e da ciò nacqne il motto : Sant' Antuni menza tìnta e menza bona.
(1) L' origine e di questo motto è raccontata diversamente da alcuni scrittori, ma, comunque sia, si ripete a proposito di qualcosa di eccessivo, che riesca dannoso appunto per questo.
(2) Malattia infiammatoria della pelle, simile a una scottatura, che gli antichi chiamavano fuoco sacro (Celso), fuoco di S. Antonio. E focu di S. Antoni si dice per imprecazione (gastima) a chi si vuol male.
(3) Infatti nelle dette Vite e precisamente in quella del detto tanto compilata da S. Atanasio vescovo d' Aletsandria si narra che il demonio apparve ad esso in forme di angeli, monaci, giganti, Satana in persona, in apparenza dì uomo grandissimo, cavalieri armati e fiere varie e mostruose, non mai di porco.

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3. Fine della festa
La festa di S. Antonio segnava la fine della semina dei cereali : fina a S. Antoni li simenti su boni. Era creduta il periodo più freddo dell' anno : S' Lorenzu la gran calura, S. Antoni la gran friddara, l' una e l' atra poco dura. Le donne e le massaie aspettavano la festa di S. Antonio, perché le galline ricominciavano a fare le uova : pi S. Antoni li tinti e li boni (galline).
Essa segnava, come in tutti i paesi anche fuori di Sicilia, il principio del carnevale, a causa forse del protetto del santo, che è simbolo delle cose carnevalesche e del fatto che a 17 gennaio le feste natalizie sono chiuse.
Ora la festa è finita da molti anni, la chiesa è cadente e la statua del santo fu portata alla Madrice, dove si trova.