CIMINNA (PA)

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Storia, arte, tradizione, costume, usi, verde, sole.......
Parte seconda
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Memorie e Documenti

Dr Vito Graziano
Pubblicato MCMXI

Parte II - cap. 6
Demopsicologia Ciminnese



1. Caratteri fisici e psicologici degli abitanti. 2. Leggende. 3. Pregiudizi. 4. Usi e costumi.

1. Caratteri fisici e psicologici degli abitanti

I Ciminnesi sono generalmente di statura regolare e di colorito bruno con capelli ed occhi castani. Le donne somigliano agli uomini per questi caratteri, e non sono rare fra esse quelle notevoli per bellezza;1 sono anche fìsicamente ben conformate, onde son pochi gl'interventi ostetrici pervizi pelvici. Ma da qualche tempo la costituzione degli abitanti sembra un poco deteriorata, come mostrano i risultati delle visite fatte nei consigli di leva. Infatti per ricerche da me eseguite risulta che nel primo quinquennio 1861-1865 il maggior numero dei riformati fu per deficienza distatura, invece nell'ultimo quinquennio fu per debolezza costituzionale.
Le malattie dominanti sono le febbri malariche ed infettive, le malattie di petto e quelle intestinali, e fino a poco tempo addietro anche il gozzo, che ora è divenuto raro. La mortalità media, ricavata dal 1811 al 1911 fu di189, 92 morti all'anno.2 Sono di carattere espansivo e di mente svegliata ed aperta alle varie manifestazioni del bello e del buono. Perciò hanno spiccate tendenze alla musica, al canto, al ballo e a tutte le arti belle, ed amano le rappresentazioni teatrali, la compagnia e i divertimenti d'ogni genere. Gli uomini sono sobri e attivi, e le donne accudiscono alle faccende domestiche, ma nel tempo dei maggiori lavori campestri aiutano l'opera dell'uomo Il sentimento religioso è molto profondo nel popolo,e alcune volte si rivela con manifestazioni eccessive. Le feste religiose sono molte di numero e se ne contano, per così dire, di primo, secondo e terzo ordine, che si fanno quasi tutte con elemosine ed offerte popolari

1. L'illustre Professore Giuseppe Pitrè nei suoi Canti popolari siciliani,voi. I, p. 393, riporta i seguenti versi, da lui raccolti a Montemaggiore: « ACaccamu ci sunnu li Nucasii / Ciminna li Vituzzi graziusi / Termini Austinèca su vastasi». Ma in Ciminna i suddetti versi sono detti in questo modo:« A Caccamu ci sunnu li Nucasi / A Termini l'Austinè ca su vastasi / Ciminna li Vitiddi graziusi / A Palermu li fimmini a tutt'usi ».
2. La mortalità degli anni precedenti al 1821 fu ricavata dall'archivio parrocchiale, dal quale furono prese anche quelle citate nella prima partedi questo libro. Chi desidera maggiori notizie sulle condizioni igieniche delpaese può consultare un opuscolo da me pubblicato in Palermo nel 1901col seguente titolo: « Relazione sanitaria (1900), sullo stato igienico-sanitariodi Ciminna, al sig. Medico provinciale di Palermo.


2.Leggende

A poca distanza da Ciminna, nella direzione di sud-est, esiste un monte alto m. 600 sul livello del mare e chiamato, in pronunzia locale, Matritunnu. Nella parte che guarda verso nord si trova un foro grande da potervi entrare un uomo carpone, e di là si accede in un vano grandissimo dove credesi dal popolo esservi una gran quantità di monete d'oro incantate, e chi per caso si trovasse ivi e ne prendesse qualcuna, non troverebbe più l'uscita. Inoltrandosi nel detto vano si arriva ad una porta, a guardia della quale sitrova un gigante grandissimo, con una specie di mazza nelle mani in atto di percuotere. Esso è condannato a stare in quel luogo per castigo di una maga. Chi, trovandosi dentro quel luogo avesse l'imprudenza di parlare di cose sante, si troverebbe immediatamente in altri monti lontani. Si racconta anche che alcuni individui videro le monete d'oro, e uno di essi, avendone nascosta una dentro uno stivale, non potè uscire se non quando l'ebbe lasciata. Al confine del paese esiste un piano chiamato dell'Apurchiarola, perché produce spontaneamente molti aprocchi (Centaurea calcitarapa, L.), e in quel piano, fino a pochianni addietro, esisteva una grossa pietra, che nascondeva un tesoro incantato. Il modo di disincantarlo era assai curioso. Un uomo e una donna ignudi, a mezzo giorno preciso, dovevano partire dalla piazza maggiore, percorrendo via S. Francesco e via Botteghelle. La gita doveva essere fatta di corsa, portando ognuno un piatto di maccheroni e mangiandoli durante la corsa; l'ultimo maccherone doveva essere mangiato sul posto e precisamente sulla pietra, che copriva il tesoro.3 Mancando una sola di queste condizioni, l'incantesimo restava. Questa leggenda e quella precedente sono riportate nel seguente libro: «Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano raccolti e descritti da Giuseppe Pitrè voi. IV pag. 392e 393. Palermo 1889 ». A brevissima distanza da Ciminna esiste un colle chiamato S. Vito, perché vi esiste un santuario del detto santo con un eremitaggio. Ivi anticamente visse un eremita chiamato Fra Corrado. In quel tempo il detto colle era un bosco, frequentato da' ladri. Un giorno questi si presentarono a Fra Corrado chiedendogli una donna. Ritornati per trovarla, egli l'invitò a pranzare e dato loro del vino con oppio li fece addormentare. Poi li uccise e seppellì i cadaveri in una sepoltura della chiesa, e in questo modo evitò lo scandalo della donna e liberò il paese dai ladri. La mattina seguente trovò sette cavalli legati ad alberi di querce, li sciolse e prese il denaro ch'era nelle bisacce. Poi volendo fare con esso un'opera buona nel paese fondò l'ospedale, e credendo per la sua vecchiaia che fosse vicino a morire trattenne per sé poco denaro. Ma egli sopravvisse ancora molto tempo e fu costretto andare elemosinando: «Facifi la limosina a Fra Currau ca lu tempo la gabbau. Nun faciti comu Fra Currau ca lutempu lu gabbau; la gaddina si pila morta e no viva ». Questa è la moralità della leggenda, che si ripete ogni volta, che un ndividuo si spoglia delle sue proprietà per donarle ad altri.
Altre leggende parlano di fiere incantate, che si ripetono ogni sette anni, a mezzanotte precisa, in diverse contrade di questo territorio, come per esempio a S. Anania, Ruggeri,Chiarchiaro del Cammello ed altre. Ma la più popolare di tutte è quella di S. Pantaleo, e propriamente del sito chiamato Manu di l'orvi. Ivi vuole la leggenda, anche ai giorni nostri, che in ogni sette anni abbia luogo una fiera misteriosa,di cui tanto si teme. È la fiera delle fate, che comincia a mezzanotte precisa e dura un'ora sola. In brevi istanti s'alzano trabacche e padiglioni, in cui si espongono all'incanto animali, oggetti di valore e di giucco e frutta da mangiare.Comprando un oggetto e toccandolo diventa subito oro, perché viene disincantato. La fantasia popolare è arrivata a credere che alcune persone si siano trovate alla detta fiera e non abbiano potuto comprare alcuna cosa, perché sfornite di danaro. Si racconta di un villano che una volta, essendosi trovato alla detta fiera, intese una voce che gli disse: «Va nel burrone e là troverai la tua fortuna». Quella voce si ripetè altre due volte, e allora quello vi andò e trovò due sacchi pieni di monete d'oro e due diavoli colle mazze a guardia di essi. Per disincantare quel denaro egli doveva toccarlo, ma ebbe paura e, mentre fuggiva spaventato, vide i sacchi trasformarsi in fiamme e sperdersi nell'aria, girando intorno a sé stessi. Ora debbo narrare altre leggende, che furono da me accennate a pag. 17, quando parlai della cosidetta Lavanca di Sutera. Una volta il Signore passando per quella contrada vestito da povero, chiese ricovero e cibo ad alcuni caprai, che pascolavano ivi il loro gregge. Ma questi rifiutarono e lo mandarono via senza dargli alcun aiuto. Allora il Signore, per punire la loro azione, diede una pedata a quel monte, facendolo cadere in parte con tutti i sudetti caprai. Un'altra leggenda, che è simile alla sopradetta e può considerarsi come una variante, è la seguente. Una volta il Signore camminava con S. Pietro e si trovò a passare nella contrada Cannatello. Ivi era un povero uomo, che faceva gesso e menava la vita miseramente. S. Pietro gli domandò da mangiare e l'ebbe; allora ammirando quella buona azione, pregò il Signore di cambiare la sorte di quell'uomo che divenne ricco. Dopo molto tempo il Signore ritornò in quel luogo con S. Pietro, e questi chiese alloggio e vitto a quell'uomo che più non conosceva. Ma questo gli avventò addosso i cani e lo mandò via. Allora S. Pietro, avendo riconosciuto quell'uomo ed essendosi indegnato per la sua ingratitudine, pregò nuovamente il Signore, affinchè lo punisse. Anche questa volta il Divino Maestro ascoltò la preghiera di S. Pietro e perciò fece cadere parte della montagna, seppellendo quell'uomo con tutte le sue ricchezze.
Queste ed altre leggende meno popolari di tesori nascosti ed incantati in altri luoghi di questo territorio, sono state create dalla fervida fantasia del popolo Ciminnese, ma io milimito a quelle riferite e tralascio le altre per brevità.

3. La detta pietra esisteva fino a poco tempo addietro, quando fu rotta per farne breccia da stradale.

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3. Pregiudizi
Oltre alle dette leggende il popolino presta fede ad alcuni pregiudizi, che vanno diminuendo a misura che s iestende l'istruzione elementare. Accenno quelli principali, per far meglio conoscere l'indole di questi abitanti.
La maggior parte di essi riguarda le cure mediche, i parti ecc. Chi ha malattie di pelle non deve fare altro che aspettare la mattina dell'Ascensione. In quel giorno le erbe acquistano virtù speciali, e chi ignudo s'avvoltola su di esse guarisce subito delle dette malattie. Vi sono quelli che tolgono la punta (pleurite), acconciano le ossa rotte o slogate, guariscono le insolazioni, i vermi e il cosidetto gruppo dilatte ai bambini, e tante altre cose, che tralascio per brevità,ma non posso tacere quello che si fa nei parti laboriosi.
Quando una donna non può partorire, quelle del vicinato accorrono e aiutano la partoriente con preghiere rivolte a S. Leonardo, e specialmente ad una Madonna, che si venera in una cappelletta fuori l'abitato ed è invocata conqueste parole:
Bedda mairi di la purtedda Scatinati sta puvuredda Pi lu figghiu chi aviti in brazza Cunciditici sta grazia.
Altre volte per favorire il parto le comari legano al ginocchio destro della partoriente, la cosidetta pietra prena. Se il collo dell'utero tarda ad aprirsi e impedisce il parto, prendono una specie di spugna ramificata, chiamata la rosa del parto, l'immergono dentro un bicchiere d'acqua e vi accendono intorno tre candele di cera. Quando la spugna ha ilatato completamente le sue raficazioni per l'azione dell'acqua, il collo dell'utero si trova aperto e il parto si compie facilmente.
Potrei ancora continuare in questa selva di pregiudizi ed errori popolari, ma me ne astengo, perché essi in gran parte sono simili a quelli di tutta la Sicilia, che illustri folkloristi hanno illustrato con competenza e genialità.

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4. Usi e costumi

Gli usi e i costumi cambiano come le fogge di vestire e si trasformano continuamente. Il nostro secolo si distingue pel suo carattere positivo, acquistato col progresso della civiltà e colla lotta accanita per l'esistenza; quindi molti usi locali e caratteristici sono scomparsi e divenuti un semplice ricordo storico.
Fra gli usi più caratteristici di Ciminna è quello della vecchia di Natale. « Quel che fanno per la Sicilia in generale i morti, fa per alcuni paesi particolari una vecchia quanto brutta, altrettanto buona e cara ai bambini, vò dire la vecchia di Alimena, la vecchia Strina di Cefalù, di Vicari, di Roccapalumba, la vecchia di Natali di Ciminna, la vecchia di Capudannu di Resultano, la carravecchia di Corleone, la Befana di altri luoghi».4
Nei giorni che precedono la festa di Natale, si dice ai fanciulli, i quali hanno generalmente l'età di due a otto anni,che s'avvicina la vecchia di Natale, una fata benefica per quelli che stanno quieti e cattiva per i discoli. Nel primo caso si racconta, che essa si trova nascosta per preparare dolci e doni, nell'altro si usa la minaccia che essa viene a prenderli per condurli via ed è una vecchia decrepita, brutta, sdentata e gibbosa. E in quei giorni quelle tenere menti sono piene della vecchia di Natale, e di essa parlano e sognano continuamente. Venuta la sera che precede la festa, i bambini si mandano a letto presto, perché deve passare la vecchia di Natale per lasciare i dolci, e siccome essa non vuoi farsi vedere passa avanti se li trova svegli. In quella notte cammina per le strade sonando una tromba di conchiglia e conduce seco molti animali carichi di dolci e giocattoli per distribuirli nelle case, ove sono bambini. Entra a portechiuse, poiché per introdursi le basta una piccola fessura e prima di far giorno ritorna nella sua abitazione, che naturalmente si trova in luoghi isolati. La mattina i bambini, che per tutta la notte hanno sognato la vecchia di Natale trovano dolci, giocattoli e doni d'ogni specie, che i genitori, secondo la loro condizione economica, hanno avuto cura di preparare ai loro figliuoletti.
Un altro uso, che si mantiene ancora costante, è il bersaglio fatto negli ultimi giorni di carnevale. Si prende un capretto, un coniglio, una gallina, un gallo o altro animale,e si colloca in un dato punto, che ordinariamente è ad una estremità del paese. Poi ad una determinata distanza vi sispara col fucile, e chi uccide l'animale o lo ferisce ne diventaproprietario. Vi accorrono i migliori tiratori del paese e sipaga uno o due soldi per ogni colpo
Nelle feste secondarie è molto in uso il così detto giucco dell'antenna, che è comune a tanti altri paesi e forma il sollazzo del popolo nelle ore pomeridiane. Anticamente vi erano altri usi, che ora sono scomparsi. Fra quelli più notevoli e più caratteristici vi era il carnevale, che ora è divenuto un ricordo, come in tanti altri paesi. Essocominciava ogni anno la prima domenica dopo l'Epifania, con una solenne mascherata, che rappresentava l'entrata dilu nannu. Poi continuava con frequentissime feste da ballo, in tutti i ceti del popolo. Nelle famiglie di bassa condizione si ballava a suono di zufolo (friscalettu) e cembalo (tammureddu) con l'intervento di maschere per lo più a pagamento; nelle famiglie civili si ballava al suono di banda odi pianoforte con intervento di molte maschere, vestite nei modi più vaghi e bizzarri e divise in gruppi. In questo modo il carnevale costituiva un periodo attraentissimo di divertimenti, che ora sono stati sostituiti dalla più grande indifferenza e musoneria, confermando ancora una volta l'antico adagno: «Tempera mutantur nos et mutamur in illis».
Fra gli usi, quasi ormai scomparsi in questo paese, devono annoverarsi anche i pesci d'aprile. Erano scherzi d'ogni genere, talvolta assai crudeli, che il primo giorno del detto mese si facevano a moltissime persone del paese.
Un'altra abitudine era in uso fino a parecchi anni addietro, contro le persone calve, nella notte che precede la festa di S. Pietro. Sulle porte o sulle finestre di coloro, ch'erano calvi, si metteva un'erba, che ha la forma di fili e in dialetto siciliano si chiama gargioii. La mattina seguente, appena fatto giorno, i passanti ridevano a spese dei padroni di casa, che alcune volte se la prendevano a riso ed altre volte a male.


4. Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, racolti edescritti da G. Pietre, Palermo 1889, voi. IV, p. 63.

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