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Storia, arte, tradizione, costume, usi, verde, sole.......
Parte terza
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Memorie e Documenti

Dr Vito Graziano
Pubblicato MCMXI

Parte III - cap. 4

Feste, tradizioni e costumanze sacre

 

1. Festa del SS. Crocifisso. - 2. Festa di S. Vito. - 3. Altre feste minori. - 4. Processione figurata del 1855. - 5. Costumanze sacre

1. Festa del SS. Crocifisso

Ora debbo parlare dell'indole e dello spirito religioso del popolo, che si manifesta principalmente colle feste, le tradizioni e le costumanze sacre.
La festa più solenne è quella del SS. Crocifisso, che si fa la prima domenica di maggio. L'origine della detta festa rimonta ad una tradizione del secolo XVII, che fu raccontata a pag. 202, e la pompa, colla quale fu celebrata la prima volta nel 1651, non è venuta meno fino ad oggi; anzi quanto la sacra immagine si mostrò benigna con grazie spirituali e temporali al popolo, tanto questo si cooperò all'esaltazione di essa.
Ai tempi nostri la festa è ancora la più importante del paese, e ad essa interviene la rappresentanza municipale in tutte le funzioni. L'apparato in chiesa si fa con grande magnificenza sempre vario con nuove invenzioni ed idee, e nei tempi che questa arte non era giunta al grado di oggi, esso si faceva con rabeschi, fiori e specchi, che si facevano venire da Palermo colla persona che doveva collocarli. L'orchestra è sempre sceltissima, e anticamente era composta di musici paesani e forestieri, che erano chiamati apposta da Palermo e da altre città. Da alcuni anni in qua si è introdotta l'usanza di far venire un oratore rinomato per un ottavario di prediche, alle quali accorre numeroso il popolo. Le strade sono animate per due giorni dal suono della banda musicale, dai tamburi e dal piffero, e dai rimbombi dei mortaretti; né mancano mai le corse dei bàrberi, i fuochi artificiali, la fiera degli animali ed altre pompe per rendere solenne il trionfo di quel giorno.
Ma le maggiori attrattive della festa sono ogni anno la processione così detta delle torce e quella della sacra immagine. La processione delle torce si fa con molte cavalcature elegantemente bardate e montate dai loro padroni, che portano grossi ceri adorni di nastri variopinti o di fiori artificiali, e seguiti dalla banda musicale, che fino a poco tempo addietro procedeva pure a cavallo, e da alcuni animali carichi del frumento dato in elemosina alla chiesa. La processione della sacra immagine procede in un modo più solenne. Presa devotamente dalla tribuna maggiore, ove si trova, e messa sulla croce d'argento con tutti gli emblemi che Padornano, essa viene collocata sopra una bellissima bara, preparata in mezzo alla chiesa. Così disposta la sacra immagine, comincia ad avviarsi la processione. Viene prima un gonfalone con quattro tamburi; indi seguono su due file moltissimi individui d'ogni età e condizione, dei quali alcuni a piedi scalzi, con grossi ceri accesi; vengono dopo tutte le confraternite colle loro statue; poi viene il clero, e infine la sacra immagine, portata da ottanta individui in camicia e mutande bianche con una fascia rossa alla cintura e a piedi scalzi, e seguita dalla rappresentanza municipale e dalla banda musicale. Un popolo immenso e serrato di uomini e donne chiude la processione, alla quale esso è tanto affezionato, che nel 1870, essendo proibite tutte le processioni religiose, esclusa quella del santo protettore, il consiglio comunale, nella seduta del 21 aprile, dichiarò il SS. Crocifisso patrono di Ciminna. Alcune volte nei siti, ove è solita fermarsi la detta immagine, è stato eseguito un inno di voci a coro con accompagnamento d'orchestra chiamato volgarmente frottola, e nel 1899 fu recitata un'ode, all'uscita e al ritorno in chiesa, da un ragazzine vestito da angelo.
Anticamente vi erano altre pompe, che rendevano più solenne la festa e che ora non si fanno più. La cosa più degna d'ammirazione, e nello stesso tempo più commovente, era la processione fatta da alcuni ceti di persone, particolarmente contadini, che andavano con ordine e con istrepitosi tripudii a presentare al SS. Crocifisso i doni offerti nel corso dell'anno, come capretti, agnelli, piccioni, galline, lana, cacio, denaro, torce ed altro. La detta processione durò sino alla metà del secolo scorso, finché poco a poco si trasformò in quella delle torce.
Nel teatro, allora esistente nel quartiere della Fontanella, si facevano ogni anno rappresentazioni sacre per dilettare il popolo, che vi accorreva numeroso. La chiesa pagava i comici, che rappresentavano, e faceva gli acconci del teatro, ed i proventi andavano forse in parte a vantaggio di essa. Queste rappresentazioni furono abolite quando cessò d'esistere il detto teatro, cioè nei primi tempi del secolo scorso. Per far risaltare agli occhi grossolani del popolo i sacrosanti misteri della croce e del Crocifisso, si facevano spesso le così dette processioni reali, dette anche maestranze, che consistevano in questo. Si sceglieva un fatto sacro, per lo più allusivo alla festa, e si rappresentava con personaggi reali, che si vestivano in modo bizzarro secondo il loro significato, espresso da un motto analogo, e procedevano ordinati in mezzo a festosi concerti. Son note quelle degli anni 1762, 1765, 1790, e particolarmente quelle degli anni 1796 e 1797.
Nel 1796 si rappresentò un fatto, preso dal libro IV dei Re, cap. III. Il Re di Moab, assalito dai Re d'Israele, di Giuda e di Edom, immolò il suo figliuolo primogenito per impedire la rovina della sua città, a somiglianzà dell'Eterno Divin Padre, che sacrificò il suo Unigenito per salvare l'umanità. Questa processione, composta di 95 personaggi, riuscì in modo solenne e di essa esiste una relazione a stampa, scritta dal sac. D.D.G. A. cioè Sacerdote Dottore Don Giuseppe Anzaldi.
Ma la processione, che superò tutte le precedenti e fu l'ultima in ordine di tempo, si fece nell'anno 1797. Essa fu una rappresentazione figurata dei principali misteri dell'Apocalissi di S. Giovanni disposta in molti gruppi artistici con parecchie centinaia di personaggi. Il disegno fu fatto dal nostro concittadino Baccelliere Vincenzo Brancato, monaco domenicano, che ne scrisse anche la relazione tuttora inedita. Egli venne apposta da Palermo, ove allora trovavasi di residenza, per assistere all'esecuzione della sua opera, per la quale si prese in affitto dai paesi vicini una gran parte di vestiario e si adibirono alcuni pittori da Corleone, insieme col nostro concittadino D. Vincenzo Di Bella. La spesa, erogata dalla chiesa in quell'occasione, fu di onze 37 e tari 18.

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2.Festa di S. Vito

Dopo la festa sopra descritta, la più importante è quella di S. Vito, patrono principale di Ciminna. Essa si fa due volte all'anno, la prima il 15 giugno e la seconda la prima domenica di settembre. La festa del 15 giugno ha un'origine antica quanto il culto del santo in Ciminna; quella della prima domenica di settembre si fa con solennità, a spese in parte del Comune, e ricorda la traslazione delle reliquie, avvenuta nel 1672. Vi è fiera di animali, istituita da tempo immemorabile, una o più bande musicali, illumi-nazione delle strade, corse di bàrberi, fuochi pirotecnici, e processione delle reliquie.
Anticamente essa si faceva in modo più solenne, e vi era un gran mercato di tessuti, oreficeria, chincaglieria ed altro, che durava circa 15 giorni e faceva accorrere molti forestieri dei paesi circonvicini, con notevole vantaggio del piccolo commercio. Era il festino di Ciminna, la cui fama si estendeva in tutta la provincia.

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3. Altre feste minori.
Oltre alle dette feste, ve ne sono tante altre di minore importanza, che si celebrano pure con solennità. Accenno fra queste: la festa di S. Giuseppe, di S. Francesco di Paola, del Corpus Domini, dell'Immacolata Concezione, della Madonna del Carmine, dell'Addolorata e della Settimana Santa. In questa sono degne di menzione la processione dei misteri nella mattina del venerdì santo e quella dell'Addolorata nella sera dello stesso giorno.

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4. Processione figurata del 1855.
Parlando delle feste religiose non posso tacere quelle avvenute nel 1855, che si fecero per la proclamazione dell'Immacolato Concepimento di Maria. Durarono cinque giorni, cioè dal 9 aprile, che fu il lunedì dopo Pasqua, fino al venerdì, con parato e musica in chiesa, banda e illumi-nazione in tutte le strade. Ma ciò che rese indimenticabile quella festa, fu una processione figurata, che trasse a vagheggiarla una sterminata folla dei convicini paesi. Il mercoledì dopo pranzo il simulacro dell'Immacolata Concezione fu trasportata nella chiesa della Matrice, anch'essa parata a festa, e il giovedì uscì di là in processione ritornando nella stessa chiesa, sempre corteggiata da 180 ragazze, scelte fra tutte le classi sociali del paese, rappresentanti i simboli della litania della SS. Vergine. Incedevano tutte abbigliate di quell'abito, che esprimeva il titolo rappresentato, e la modestia del loro portamento, la varietà del loro vestire e la novità dei geroglifici produssero tale incanto, che si dovette replicare altra volta il giorno seguente.
Delle dette feste si parla in un panegirico a stampa del P. Alessio Narbone, e in un deliberato decurionale del 28 aprile 1855, il quale riferisce quanto siegue: «Finito il bimestre delle sante missioni si portò alla Matrice il simulacro di M. SS. I., ove si fece un triduo che può dirsi un giorno prolungato di canti, messe, riti di chiesa, concorso immenso di popolo, le tre notti quasi uguagliavano la forte luce solare per le innumerevoli faci delle case private e dei pubblici stabilimenti. Negli ultimi due giorni ebbe luogo la ripetuta processione della litania figurata di M. SS., eseguita da ragazze che appena toccavano il secondo lustro, egregiamente ornate ed accompagnate dagli emblemi caratteristici degli enunciati titoli di cui è fregiata Maria SS. Non sarà facile obliare questo eccezionale periodo della vita».

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5. Costumanze sacre
Ogni giovedì a due ore di notte suona una campana in memoria dell'istituzione del sagramento dell'eucaristia, e a quel suono in alcune case, e anticamente in tutte, si espongono fuori i lumi per ricordare l'ora solenne, nella quale Gesù Cristo istituì il detto sacramento. Inoltre il venerdì a ventun'ora suonano tutte le campane in memoria della morte di Cristo, e le persone devote recitano cinque Credi. Fu Mons. Bazan, Arcivescovo di Palermo, che con editto del 25 agosto 1693 ordinò che in ogni venerdì, a mezzogiorno e ad ore 21, si suonasse il mortorio in tutte le chiese con 33 tocchi, per eccitare la pietà dei fedeli a venerare la memoria del Redentore.
Ogni volta che succede la morte di un individuo, essa viene subito annunziata col suono delle campane, affinchè il popolo ne suffraghi l'anima colle preghiere. L'abuso eccessivo del detto suono è stato lamentato da antico tempo. Infatti nel 1784, in una controversia, sorta fra il pubblico e la comunia del clero, fu stabilito dal vicario generale Vanni che, nella morte di qualunque prete non si potesse sonare altra campana che quella della parrocchia, della chiesa, ove si doveva seppellire il cadavere, e della confraternita che l'accompagnava, e nei casi di morte avvenuta di notte se ne desse il segno con un solo tocco di mortorio.1 Nel 1843 il sindaco Giuseppe Quince, con lettera del 28 marzo, si rimise alla saggezza del rev. arciprete di quel tempo per limitare il simultaneo suono delle campane in più chiese, che dimostravano il più ridicolo fanatismo suscitato dall'orgoglio.
Nei casi di prolungata siccità si fanno pubbliche preghiere con tridui e con processione. Quelle si fanno portando per le vie un Crocifisso, dietro il quale segue il popolo cantando:

Acqua di celu,
Sazia la terra,
Inchi lu fonti di la pietà. Signuri, facitilu pi carità.
Signuri, chiuviti chiuviti,
Ca i lavuredda su morti di siti;
Facitini viniri una bona,
Senzalampi e senza trona.

 

In alcune feste come quelle di S. Giuseppe, di S. Francesco di Paola, del SS. Crocifisso, di S. Vito e d'altri si fa durante la processione del simulacro la volata dell'angelo.
Ma l'usanza più bella e più caratteristica è la così detta tavolata di S. Giuseppe, che si fa il giorno della festa. Si scelgono tre poveri di buoni costumi e timorati di Dio, cioè un uomo di età avanzata, una donzella nubile e un bambino di tre o quattro anni, che rappresentano S. Giuseppe, Maria Vergine e il bambino Gesù, e sono vestiti secondo i costumi di questi. La mattina della festa si riuniscono nella casa, ove si deve fare la tavolata, e di là si recano insieme alla chiesa di S. Giuseppe, accompagnati da molte persone. Ivi assistono alle sacre funzioni e quindi nello stesso modo ritornano donde sono partiti. Qui avviene una cerimonia commovente. La porta si trova chiusa, S. Giuseppe bussa col bastone tre volte e di dentro gli si risponde: Cu è? Un poviru passaggeri. Itivinni a nautra banna, ccà nun è Incanna. Allora S. Giuseppe se ne va con Maria e Gesù e, dopo aver fatto tre passi, ritorna indietro, bussa altre volte e si ripete lo stesso dialogo. Questa volta S. Giuseppe si allontana scoraggiato, ma il bambino Gesù gli dice: lamu ni chista divutedda, ci dicemu ca semu Gesù, Giuseppe e Maria e idda ni apri, e S. Giuseppe ritorna a bussare la terza volta. Alla domanda: Cu è? il bambino Gesù risponde: Gesù, Giuseppe e Maria. Allora si spalanca subito la porta, e questi entrano e siedono attorno ad una tavola imbandita, che viene benedetta dal prete prima di cominciare il pranzo. Poi i sacri personaggi cominciano a mangiare le varie pietanze. Finito il pranzo, Gesù, Giuseppe e Maria girano pel paese e infine ritornano alle proprie case.
Nel giorno dell'Ascensione vi è da tempo remotissimo l'usanza, che tutti gli animali equini, bovini e ovini sono condotti alla chiesa dei Cappuccini fuori l'abitato, ove si trova un prete in cotta e stola che li benedice. Anticamente, quando vi erano i monaci, questa usanza era pittoresca. I caprai vi andavano coi loro costumi di pelle, le pecore e le capre ornate di variopinti nastri e portavano al collo molte campane, che facevano un gran frastuono, i cavalli e gli animali da soma vi andavano elegantemente bardati e cavalcati dai loro padroni, vestiti anch'essi a festa. Le strade del paese e lo stradale dei Cappuccini, ove passavano i detti animali, erano gremiti di molto popolo, che guardava quello spettacolo. Per antica consuetudine i caprai e i boari mungevano alcuni dei loro animali e il latte raccolto era tanto che veniva dai monaci trasformato in cacio.
Un'altra usanza commovente si fa ogni anno la vigilia del Corpus Domini. I confrati della congregazione del giovedì, detta anche del SS. Viatico, girano in processione le vie del paese, che il giorno seguente dovranno essere percorse dal SS. Sacramento, colle granate nelle mani in atto di togliere le immondezze. Anticamente procedevano scopando davvero e i giovani novizi, non ancora confrati, portavano delle ceste per togliere le pietre, che si trovavano in mezzo alle vie.
Nella prima quindicina di agosto esiste ancora la cantata delle Madonnuzze, che precede la festa dell'Assunta. Fino a poco tempo addietro in ogni strada, in ogni vicolo, in ogni cortile si raccoglievano le donne, specialmente giovani, del vicinato e cantavano su diversi toni delle canzoncine in onore dell'Assunta.
Accenno infine ad un'altra usanza di questo paese, che esiste anche in tanti altri. Ogni anno per la festa di S. Lucia il popolo si astiene dal mangiare pane e pasta per devozione alla santa, che esso intende propiziarsi per essere liberato dalle malattie degli occhi, e si nutre ordinariamente dalla così detta cuccia che per una credenza popolare era il cibo prediletto da S. Lucia quando era vivente.
Non posso chiudere questo capitolo senza accennare ad altre costumanze antiche, che ora non esistono più. Nel prospetto della Matrice era murato un collare di ferro, che esistè fino a pochi anni addietro. Si dice che con esso erano legati al collo i publici bestemmiatori, che in tal modo erano messi alla gogna per incutere un salutare timore negli altri. Fino a poco tempo addietro la sera della vigilia, che precedeva la festa di S. Giuseppe, in tutte le strade del paese si facevano grandiosi falò (vampe) con legna e oggetti vecchi, in segno di gioia ed onore verso il santo.


1. Registri di deliberazioni consiliari, anno 1784, pp. 76-80.

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